Il mito dei samurai, i temi della rettitudine, dell’incorruttibilità e della redenzione sono al centro dell’opera progetto che da anni era nella mente di Leonard Menchiari, regista dell’opera poi portata alla luce da Flying Wild Hog. Le ispirazioni furono chiare fin da subito: i film giapponesi degli anni ’50 e ’60, il maestro Kurosawa e la narrazione tipica del cinema dell’epoca.
Forse un po’ unidimensionale, ma certamente non per questo meno significativo e granitico, soprattutto in riferimento ai contenuti culturali e storici che ha sempre voluto trasmettere. Anche in questo senso non sorprende Viaggio a Yomi non ha voluto uscire dai sentieri battuti proponendo una storia tipica e a tratti stereotipata, ma a suo modo capace di partire fino alla fine con la curiosità necessaria per scoprire gli esiti dei destini dei personaggi.
Trek to Yomi, la storia
La storia di Viaggio a Yomi mette subito in scena Hiroki e il suo mentore, che si ritroveranno invischiati suo malgrado in una vicenda dai contorni nefasti e non immediatamente chiari. Quello che è certo è che il villaggio si è trovato sotto un attacco brutale, con banditi senza scrupoli pronti a saccheggiare, uccidere e lasciare una scia di distruzione e dolore tutt’intorno. Dopo la terribile tragedia che apre la strada ad azioni improvvise e terribili che avranno gravi conseguenze, Hiroki decide di fare una promessa che intende mantenere pienamente anche a costo della propria vita.
Quegli atti malvagi non rimarranno impuniti. La vendetta avverrà, ciò che resta del villaggio dovrà essere protetto e si andrà a fondo per scoprire quali reali ragioni abbiano portato a quegli esiti. Tra la continua ricerca della verità e l’ardente sete di vendetta, sullo sfondo prende vita la storia personale del protagonista, dipendente in larga misura anche dal rapporto con la sua amata.
Nella prima parte dell’avventura i toni sono quelli tipici dei film dedicati ai samurai (come fa Fantasma di Tsushimache puoi acquistare in offerta su Amazon). I ritmi sono vivaci, le ambientazioni sono piuttosto classiche e gli eventi che si susseguono, seppure ben orchestrati, in definitiva non si rivelano capaci di sorprendere.
Semmai è nella seconda parte Viaggio a Yomi riesce a cambiare un po’ le carte in tavola, abbandonando parzialmente il realismo delle battaglie per condurre a suggestioni a metà tra il folkloristico e il soprannaturale. Ci riesce in particolare quando deve parlare dell’inferno personale di Hiroki, sfumando le nette distinzioni concettuali tra vita e morte e aprendo a concetti legati allo spiritismo, alla fantasia tradizionale del Giappone feudale e a tutto quel sostrato culturale che è strettamente legato legati alle credenze spirituali e alle esperienze extracorporee pre e post mortem.
Nelle circa cinque ore necessarie per vedere i titoli di coda, Viaggio a Yomi offre due sezioni distinte che compongono quello che potremmo definire senza alcun dubbio il tipico viaggio dell’eroe. Colpisce, sia nella prima parte di gioco che nella seconda stile registico adottato, che si concentra sui dettagli negli interni e durante i combattimenti per poi fare una panoramica delle location durante le fasi di avanzamento. Tutto è in bianco e nero, e certe scelte non possono che riportare alla mente alcune soluzioni già viste in Limbo, Dentro e i loro inevitabili seguaci.
Tra campi lunghi su rigogliose risaie, primi piani durante le battaglie indoor e una buona attenzione ai dettagli in determinate situazioni, UN Viaggio a Yomi lo stile non manca e lascia chiaramente intendere come gli autori avessero le idee molto chiare fin dall’inizio. Il viaggio a Yomi, ovvero il regno dei morti, qui ottimamente interpretato, funge sia da fase interlocutoria della narrazione sia da proporre un cambio di registro che mitiga una certa piattezza di fondo. Funziona piuttosto bene, e nonostante manchino gli approfondimenti, la natura contenuta del progetto ben si sposa con l’idea del percorso formativo riassumibile in poche ore.
Gioco
Ridotto ai minimi termini, Viaggio a Yomi è fondamentalmente un picchiaduro a scorrimento laterale. Vanta un 2.5D per lasciare spazio al progresso lungo gli scenari, ma non c’è nemmeno un combattimento in cui la telecamera si posiziona diversamente rispetto a una prospettiva orizzontale. Ciò è dovuto proprio alla scelta controcorrente adottata per il sistema di combattimento, che non prevede movimenti sull’asse verticale né scontri basati sulla piena tridimensionalità. In Viaggio a Yomi potrai parare, rotolare via ed eseguire combo con la tua spada: tutto questo, mentre nel frattempo l’area viene delimitata, lasciandoti in una schermata fissa che non permette in alcun modo la fuga.
Se da un lato tutto ciò costituisce un limite per le scelte del giocatore, dall’altro si rivela fondamentale condurre l’utente verso un percorso di apprendimento graduale e ben gestito, che prevede l’aggiunta progressiva di nuove mosse da utilizzare per eliminare i nemici. che ti appaiono davanti. Curiosa, in questo senso, è la scelta di non delegare al giocatore la scelta dello sviluppo delle abilità.
Queste, al contrario, si sbloccano progressivamente senza la necessità di passare attraverso un albero delle abilità per sbloccarle manualmente tramite punti. È semplicemente il gioco che decide, in determinati momenti, quando metterti a disposizione nuove mosse. Questi dipendono dagli eventi del gioco e dagli avversari che incontrerai, scandendo di fatto i momenti chiave.
Ad esempio, la prima volta che incontrerete un nemico corazzato sbloccherete particolari affondi di lama; o ancora, quando incontri un arciere, puoi contrastarlo con armi a distanza. Hiroki potrà utilizzare speciali coltelli da lancio, un arco e perfino un fucile vintage, ma i colpi saranno sempre pochi e bisognerà cercare in giro per le zone le magre munizioni. Allo stesso modo, l’esplorazione è incentivata dal fatto che è possibile trovare alcuni documenti o anche piccoli tempietti votivi dove salvare i propri progressi.
Tuttavia, non aspettartelo Viaggio a Yomi ha ampi spazi all’interno dei quali muoversi, perché sostanzialmente tutto è piuttosto lineare e guidato, con pochissimi incroci e solo qualche vicolo cieco costruito proprio per inserire oggetti extra. Tornando al nocciolo del sistema di combattimento, tutte le mosse a disposizione di Hiroki si rivelano ottimamente coreografate, e presto avrà a disposizione un’ampia varietà di mosse e colpi capaci di ferire mortalmente i suoi nemici.
Ma soprattutto nella seconda metà ve ne renderete conto alcuni attacchi si riveleranno molto più efficaci di altri, diventando addirittura “abusabili” per avere sempre il sopravvento in ogni situazione.
Ciò avviene anche alla massima difficoltà, dove le uniche differenze tangibili sono legate ai danni inflitti e subiti. Ad esempio, la rotazione con attacco successivo è sempre efficace, così come la combinazione di potenti attacchi in sequenza che mandano in stato di stordimento gli avversari. Inevitabilmente, questo porta a uno stile di gioco in cui la gamma di tiri diventa meno generosa proprio per la necessità di non incappare in continue morti, e ve ne renderete conto in particolare quando sarete circondati da molti nemici o durante i pochi combattimenti contro i boss, che giudichiamo appena nella media.
Viaggio a Yomial di là di qualche ingenuità, riesce a funzionare dall’inizio alla fine, ha una sua identità molto chiara ed è tutto sommato un titolo capace di soddisfare gli amanti del Giappone feudale e delle storie di samurai, soprattutto grazie alla sua capacità di dare lustro a dettagli per nulla scontati e sempre aderenti alla cultura e al folklore dell’epoca. L’opera di Wild Flying Hog, inoltre, sarà ospitata fin dal lancio all’interno del Game Pass (che è possibile abbonati per tre mesi grazie a questa offerta Amazon).
Versione rivista: PC