Non usa mezzi termini Pablo Traperoil regista argentino che ha firmato film politici come Mondo delle gru (vincitore della Settimana della Critica di Venezia nel 1999), Elefante bianco e Lui è un clanLeone d’Argento per la Migliore Regia al Festival del Cinema di Venezia 2015. Il suo ultimo film, Il segreto di una famigliaè stato presentato al Lido, Fuori Concorso, e presenta Berenice Bejo e Martina Gusmanmoglie e musa ispiratrice del regista-sceneggiatore.
Il segreto di una famiglia È la storia di due sorelle, Eugenia e Mia, che si rincontrano nella tenuta di famiglia dopo la morte del padre e riscoprono vecchie rivalità e profonde intese. Sullo sfondo un’Argentina che ha attraversato molte tribolazioni politiche ed è custode di molti segreti, alcuni dei quali riguardano anche la famiglia di Eugenia e Mia.
Al centro della storia c’è quindi la famiglia.
È il primo nucleo sociale ed è quello fondamentale. Quando finisci gli studi o ti licenzi da un lavoro quell’esperienza finisce, ma i genitori, i fratelli, restano sempre, e se non ci sono devi fare i conti con la loro assenza. Anche se non ci si parla più il legame rimane, e questo, in termini drammaturgici, è un potenziale immenso. Ogni tragedia ha a che fare con i legami, con il nostro modo di relazionarci con gli altri: senza di essi non c’è azione drammatica, e se i legami sono di sangue tutto diventa più intenso.
Perché hai scelto tua moglie e Berenice Bejo per i ruoli delle due sorelle?
Innanzitutto perché si somigliano fisicamente. Ognuna di loro ha una sorella nella vita reale, ma non c’è una somiglianza così evidente tra loro! Entrambe sono attrici generose: in questo film hanno dovuto esporsi completamente, non solo fisicamente, e hanno dovuto correre molti rischi, come due acrobate senza rete di sicurezza. Inoltre Graciela Borgesche interpreta il difficile ruolo della madre delle due donne, è stata senza paura: in Argentina Grazia è un’icona, mostrare al pubblico un lato sgradevole è stato un vero atto di coraggio.
Come è riuscita a descrivere così bene la psicologia femminile?
Quando scrivo ho sempre bisogno di comprendere appieno i personaggi di cui racconto la storia, indipendentemente dal fatto che siano uomini o donne, e li amo tutti, anche se nella vita reale sarebbe probabilmente più facile odiarne alcuni. Anche mia moglie mi ha aiutato molto nella stesura della sceneggiatura, fin dalla prima stesura. Poi, nel corso del lavoro, tutti gli attori hanno dato il loro contributo, soprattutto ai dialoghi. Martina, Berenice e Grazia hanno contribuito a creare questo universo femminile che per me era un pianeta sconosciuto. E penso che tutti sul set abbiano imparato qualcosa.
C’è una scena molto sensuale in cui le due sorelle si masturbano insieme.
È un modo per contrastare un certo pregiudizio maschile. Immaginiamo tutti che gli uomini possano masturbarsi collettivamente – lo abbiamo visto anche al cinema, per esempio in Amarcord – la masturbazione femminile, invece, viene sempre rappresentata come una pratica solitaria, confinata alla sfera più intima.
Ma qui non si tratta solo di due donne che si masturbano, bensì di due sorelle…
Sì, ma molto particolare! Quella scena rivela il loro bisogno di essere amate. Anche se entrambe sembrano molto disinibite, la loro sessualità è veramente libera solo in quella scena: per il resto è apparenza, condizionata dal loro passato e dai segreti di famiglia. Queste sorelle sono due sopravvissute che si aggrappano disperatamente l’una all’altra. Il loro legame non è necessariamente erotico, ma attraverso il sesso mettono in scena l’amore e il rispetto che provano l’una per l’altra. Per loro, l’amore è cercare di dare all’altra ciò di cui ha bisogno, perché sanno che possono contare solo l’una sull’altra.