Si definisce un instancabile ottimista, Francesca Lavazza. E nel suo caso l’ottimismo non è tanto “il sale della vita”, quanto piuttosto lo zucchero. Sì, perché Francesca fa parte di quella famiglia che, più di ogni altra, ha fatto conoscere l’espresso italiano nel mondo.
E a prescindere dalle definizioni, i suoi grandi occhi azzurri sembrano effettivamente emanare un’energia positiva. Un’energia gentile, non quella che ti travolge e ti butta a terra, ma piuttosto quella che si espande con grazia e ti invita dolcemente a vedere la tazza mezza piena. Francesca Lavazza sorride molto, anche se la sua voce è decisa quando parla del suo impegno e della sua storiaaffari di famiglia.
Classe 1969, torinese, nutre da sempre un’attrazione magnetica verso l’arte e la creatività. Questa passione l’ha sublimata nel suo percorso professionale Gruppo Lavazzadi cui è uno dei membri del consiglio di amministrazione.
Ora ha appena presentato ilEdizione 2019 del calendario Lavazza al quale da anni dedica gran parte delle sue energie. Dodici scatti del fotografo Tu ami Vitale in un calendario “formato magazine” che, raccontando progetti virtuosi per il nostro pianeta, invita ad una maggiore sensibilità verso temi cruciali. Dal sostenibilità ambientale a tale socialepassando per il cambiamento climaticosono sei i progetti di arte naturalistica, diffusi in quattro continenti, che coronano lodevoli iniziative come rimboschimento e azioni di tutela biodiversità. Potete vedere alcuni degli scatti, con qualche curiosità nella galleria.
Francesca, puoi dirci qual è la figura di questo calendario?“Il titolo, Buono alla Terra, evidenzia la positività che vogliamo trasmettere. Ci auguriamo che gli esempi virtuosi ritratti nel calendario possano innescare una sorta di contagio di positività e fiducia. In questo momento abbiamo davvero bisogno di buoni esempi. Il calendario è uno strumento per diffondere la consapevolezza verso obiettivi che tutti dovremmo porci. Ci auguriamo che sappia tradurli in messaggi più incisivi e chiari, alla portata di ciascuno di noi. In questo è fondamentale il linguaggio potente della fotografia che è vicino anche ai più piccoli.”
Hai lavorato molto sull’immagine di Lavazza. Quanto è importante per te oggi l’immagine nel mondo professionale?«L’immagine conta, ma solo se supportata da contenuti e valori autentici».
Il caffè può essere in grani. Puoi raccontarci qualcosa della tua esperienza professionale?«Uno dei momenti che ricordo con più piacere è legato alla Nuvola (la nuova sede torinese del Gruppo Lavazza, ndr). Qui, dove c’è un museo dedicato al caffè e alla nostra storia, ho scoperto un legame con il mio bisnonno, inventore della miscela. Mi sono reso conto che anch’io ho fatto del mio lavoro l’arte di miscelazione (in inglese mixaggio, ndr). Ma nel mio caso, miscelazione significava riunire arti diverse. Questo mi ha emozionato un po’ e mi ha fatto sentire come se fossi sulla strada giusta”.
Ma il caffè può essere anche nero: momenti bui della tua carriera?«Forse per ora non ce ne sono e spero che non arrivino mai (passeggiata). Poi sono un inguaribile ottimista, quindi penso che anche da un momento buio si possa estrarre qualcosa di positivo. Mi piace anche il mio caffè nero.”
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Cosa sta facendo Lavazza per ridurre il divario di genere professionale?«È un tema che teniamo in grande considerazione. In azienda il 46% del personale è donna e realizziamo progetti come questo lavoro intelligente e la banca delle ore che speriamo possa soddisfare le esigenze delle donne che lavorano. Inoltre, nei Paesi in cui operiamo, sosteniamo l’imprenditorialità femminile. In alcuni paesi, per ragioni culturali o religiose, spesso alle donne non è consentito diventare imprenditrici. Qui abbiamo aiutato diverse donne a portare avanti la propria piantagione. In India siamo riusciti a far entrare cinque donne asse di una realtà che collabora con noi. In Colombia abbiamo avviato progetti di microcredito rivolti alle donne, che gestiscono l’economia familiare.”
Un po’ come accade nel Gruppo Lavazza?(passeggiata) «Questo è vero, perché io e mia cugina Antonella siamo rispettivamente amministratore delegato e presidente di finlandese, la holding di famiglia. Quindi anche qui il tesoro è nelle mani delle donne.”
Lavorare con i familiari potrebbe non essere facile: come sopravvivi?«Sopravviviamo bene nel nostro caso, se consideriamo che siamo alla quarta generazione. Questa è anche la prima che, a seguito di una modifica statutaria, ha ammesso le donne nell’associazione asse gestione. Andiamo avanti condividendo valori e strategie: abbiamo anche a consiglio di famiglia dove discutiamo apertamente di tutte le questioni e idee. Ci auguriamo che questo nucleo familiare, necessario per dare compattezza e valore, ma anche sostegno alla nostra linea manageriale, possa essere sempre solido nel tempo”.
Se non fosse stata «la» Francesca che lavora nell’azienda di famiglia, cosa avrebbe voluto fare?«Nella mia precedente vita professionale sono stato copywriter per Armando Testa per sette anni. Avevo quindi già nel mio DNA un lato creativo; poi ho seguito un corso di scrittura presso Accademia cinematografica di New York. Ma alla fine ho abbracciato la scelta di esprimermi nell’azienda di famiglia. Ho così inserito il mio talento in un percorso aziendale e ho messo le mie inclinazioni al servizio del Gruppo. Sono molto orgoglioso dei risultati ottenuti finora.”
Ma lontano da Lavazza, come esprime la sua creatività?«Sicuramente attraverso la scrittura, con sceneggiature e racconti. Per quanto riguarda la fotografia, mi piace incontrare gli artisti e vedere come nascono le loro idee.”
Qual è la tua formula per conciliare un lavoro impegnativo con la famiglia?«La ricetta segreta è lavorare in squadra con mio marito. Grazie al suo supporto riesco a realizzare progetti importanti e viaggiare molto. Ora a volte anche i miei figli vengono in viaggio con me.”
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Il marchio Lavazza tocca tante culture diverse. Cosa piace indiscriminatamente in tutto il mondo?«Anni fa studiavamo campagne diverse per ogni Paese. Adesso queste differenze si sono sfumate ed è proprio l’italianità in generale ad essere apprezzata. Ci piace il racconto del modo in cui gli italiani interpretano il vivere bene e il gusto.”
Ti percepisci più dolce o amaro nei rapporti con i tuoi collaboratori?“Dolce; lo dico tra me ma così (passeggiata). Penso che non riuscirei a mantenere le distanze dalle persone con cui lavoro. Anzi, forse il mio punto di forza e di debolezza è che metto sempre in primo piano il rispetto personale. A volte in questo modo si rischia di perdere l’obiettività perché le questioni diventano molto emotive. Ma al rapporto dall’alto preferisco senza dubbio il gioco di squadra”.
Ti senti un mecenate grazie ai progetti culturali che hai sostenuto?«Beh, mi sento un po’ legato al ruolo di chi diffonde la cultura italiana nel mondo. Questo accade anche quando siedo nel consiglio di amministrazione della fondazione del Museo Guggenheim. Sento che l’arte italiana, di tutte le epoche, ha un valore straordinario e profondo. Soprattutto in questi momenti in cui il nostro Paese può sembrare più travagliato e più opaco.”
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