Home » Federer: «Io, Valentino e Totti siamo icone da proteggere come i panda»

Federer: «Io, Valentino e Totti siamo icone da proteggere come i panda»

by La Redazione
0 comment

IOIl ristorante dei giocatori è un sobborgo chic di bocche piene, mascelle ruminanti, stomaci da riempire. C’è Rafa Nadal, alle prese con un quarto di bue. C’è quello che resta di Boris Becker, paralizzato da quindici anni di professionalità. C’è Milos Raonic, il più acuto dei giovani, due metri di figlio che si sazia con un piatto di augurali fusilli al salmone. E poi c’è lui, Tennis. Con la sua tuta nera, l’avambraccio peloso e la lunga barba della domenica, Roger Federer emana il fascino di una creatura unica anche senza racchetta in mano. Preceduto dalla sua stessa leggenda, è ieratico quando suona banale, definitivo se indeciso, carismatico anche al rientro da uno stop forzato, una rarità per lui: «Sono arrugginito, non mi aspetto molto a Montecarlo. Ma voglio rimettermi in gioco”.

Prima dell’avvento del ginnasta Djokovic, uno che mastica il tennis come una gomma da masticare, nessuno dubitava che i 17 Slam degli svizzeri potessero essere eguagliati. Roger ha 35 anni (8 agosto), non gioca dagli Australian Open perché mentre preparava il bagno alle figlie si è rotto il menisco come il contabile del club, tre su cinque non batte il serbo da Wimbledon 2012 ( «Ma l’anno scorso, due volte, vinco’), non a caso il suo ultimo Major. Gioca ancora: è un numero 3 della classifica dignitosissimo e nobile. Eppure ne parliamo con cordoglio, già rammaricandoci della sua enorme presenza; mentre si scusa per il ritardo (con lo stile con cui deposita sulla linea un demi-volée), gli occhi invidiosi e gli sguardi concupiscenti di uomini (che sognano un briciolo del suo talento) e di donne (che vorrebbero invece essere di Mirka). Federer, immensamente superiore a tutto, è molto meno estraneo di quanto ci racconta il suo ufficio marketing, continua ad essere Federer, quell’esperienza religiosa che un giorno, alla fine, renderà impossibile ogni altro atto di fede. Sorride: «Dieci anni fa avevo un solo desiderio: essere ancora competitivo a 34 anni. Ed eccomi qui.”

In Italia, Roger, abbiamo due splendidi esemplari di campioni longevi: Francesco Totti (39 anni) e Valentino Rossi (37). Non credi che dovresti chiedere al WWF di essere protetto come il panda?

“La battuta è bella e contiene una verità perché è vero che, in un certo senso, apparteniamo ad un’altra specie. Francesco, Valentino ed io incarniamo il nostro sport. Ciò che hanno fatto per il calcio e il motociclismo non ha eguali. Sono esempi, icone, storia contemporanea. Nessuno può dirci quando fermarci, è una decisione molto intima e personale. Totti vuole continuare? Ne ha il diritto e io faccio il tifo per lui. Con me ha sempre una gentilezza imbarazzante: anche quest’anno, se verrà a Roma, gli chiederò consigli sui ristoranti. Non vedo Rossi da un po’ ma sono convinto che la scorsa stagione, anche con quel finale amaro, gli abbia dato nuove motivazioni. E poi li chiamano veterani…».

E la pausa forzata per infortunio ti ha dato nuova linfa vitale?

“Ero a casa da un mese e mezzo, in convalescenza. Quando ho iniziato a fare le valigie, mi sono ritrovato emozionato come un bambino. Questa è la mia diciottesima stagione da professionista. Posso permettermi di giocare meno, ma meglio. Parigi, Wimbledon, le Olimpiadi: è un anno intenso e voglio godermelo. Il tennis non dura per sempre: arriverà il momento di riposarmi e di prendermi cura dei miei figli a tempo pieno. Più crescono, più ci sarà da fare. Sono quasi pronto, ma non ora.”

Non capita spesso di vederla sotto i ferri.

“Gli infortuni ti fanno pensare. Prima dell’anestesia, e al risveglio, mi sentivo fragile, indifesa. Siamo tutti di passaggio: il mio mondo sarebbe potuto finire lì. Ero spaventato, emozionato, preoccupato. Quando mi sono rimessa in piedi, con le stampelle, ho fatto i miei primi passi incerta come i miei figli quando hanno imparato a camminare.”

Con una carriera e un ruolo iconico come il suo, è difficile pensare che la pensione non sia già pianificata. Quando? Dove? COME? In ogni caso con stile, per favore.

“Mi piace essere organizzato, ma non esageriamo. Non tutto quello che mi riguarda è già stato deciso. Penso al post-tennis, ovviamente, senza che diventi un’ossessione. Quando mi sveglierò e realizzerò che la motivazione non è più lì con me, quello sarà il giorno giusto per dire basta. Ho la fortuna di poter scegliere.”

«Allenatore, commentatore, commentatore: non escludo nulla. Il tennis, compatibile con la famiglia, è e resterà il mio mondo.”

Quanti altri “momenti Federer”, come li chiamava David Foster Wallace, senti di avere in serbo?

“È una domanda che non mi pongo. Da ragazzo non avrei mai immaginato, nemmeno nei miei sogni più sfrenati, di avere così tanto successo. Speravo di vincere un titolo a Wimbledon, ne ho ottenuti sette; diventare il numero uno al mondo (rimase al vertice per 302 settimane, di cui 237 consecutive) ndr). Gli incantesimi si fanno strada lentamente, uno dopo l’altro. Se finisse qui sarebbe fantastico. Ma non mi pongo limiti e soprattutto non vivo nel passato.”

A Melbourne scrivevamo di scommesse e partite vendute, poi come un fulmine a ciel sereno è arrivato il caso doping di Maria Sharapova, risultata positiva al meldonium: il tennis oggi è uno sport sano o malato, secondo te?

“Non mi piace parlarne, ma mi rendo conto che il tennis non ha avuto grande pubblicità negli ultimi due mesi… Che dire? Non mi è mai stato chiesto di vendere fiammiferi né conosco colleghi che mi abbiano mai detto di averlo fatto. Qualcosa di quella storia mi sfugge: era fumosa e poco chiara fin dall’inizio, tanto trambusto con poca sostanza e finiva in un nulla di fatto. Della Sharapova ho detto: pensavo che stesse annunciando il suo ritiro, non un risultato positivo. Ma la sua storia dimostra che i grandi nomi non sono al sicuro. Nessuno è. Continuo a pensare che i campioni di sangue dovrebbero essere conservati per dieci anni e che gli imbroglioni dovrebbero essere puniti con effetto retroattivo. Contro il doping non si fa mai abbastanza, però, a rischio di apparire ingenui e fino a prova contraria ho fiducia nei miei colleghi.”

E noi, fino a prova contraria, su di lei.

“Anche se è difficile da credere, sento di avere ancora degli obiettivi da raggiungere. Amo stare in campo, viaggiare con la mia famiglia, vivere la vita di un giramondo, iscrivermi ai tornei. La mia storia d’amore con il tennis non è falsa. Essere Roger Federer, a quasi 35 anni, è ancora il mio lavoro.”





You may also like

Leave a Comment